sabato 16 febbraio 2013

Così a Parigi l’Anpi ha fatto “sbianchettare” Gentile: non fu “ucciso da bande partigiane” ma “da sue scelte”…












di Antonella Ambrosini

«Il filosofo dell’idealismo che fu teorico dell’atto puro, rifondatore del liceo italiano e che finì tragicamente i suoi giorni, vittima della guerra civile del 1944, assassinato a Firenze da una banda di partigiani». Passa qualche giorno e quella frase diventa: «Il filosofo che rifondò sotto il fascismo il liceo italiano e che finì tragicamente i suoi giorni, pagando le sue scelte politiche a favore della dittatura al tempo della guerra civile di liberazione nel 1944». 

Così, con pochi ritocchi di maquillages può cambiare nel giro di poco tempo la biografia on line a corredo di un grande convegno sul filosofo dell’attualismo che si è tenuto all’Università della Sorbona di Parigi il 2 febbraio scorso, promosso dall’Istituto di cultura italiana. Cambiamento non da poco, sottolineato in un articoletto, a piè di pagina, su Repubblica, che ricostruisce brevemente la vicenda in tono quasi consolatorio. Non sfugge agli studiosi e agli appassionati in genere di storia la fine di Gentile: «Fu ucciso 15 aprile 1944 per mano di un commando di partigiani comunisti. Fu una pagina nera nella storia della Resistenza, un episodio che ancora imbarazza la Sinistra. 

Fu un assassinio privo di giustificazioni militari o politiche dal momento che Gentile non ricopriva cariche pubbliche, se non culturali, e, conosciuto per mitezza e disinteresse, si era pronunciato e adoperato per la riconciliazione degli italiani». Parola non di un’ultrà del fascismo ma di uno storico di formazione liberale, Francesco Perfetti, allievo di Renzo De Felice, direttore di Nuova Storia Contemporanea, in un articolo apparso sul Tempo il 2 maggio del 2011. Come si spiega il cambio repentino di biografia sul sito dell’Istituto di Cultura italiano a Parigi? Si spiega col fatto che la guerra civile non per tutti è finita. 

Non è finita per esempio per Elio Rampino, presidente della Sezione Anpi della Repubblica Ceca a Praga, che probabilmente svela il “retroscena” del dietrofront: pochi giorni prima del convegno Rampino aveva scritto una lettera di protesta alla direttrice dell’Istituto, Marina Valensise: «Già definire “banda” le azioni dei Partigiani – si legge nella lettera riportata dall’agenzia internazionale stampa estera – che hanno contribuito, spesso con il sacrificio della propria vita, a rendere l’Italia un Paese libero, suona come un insulto alla storia repubblicana e democratica del nostro Paese». L’Anpi di Praga prosegue giudicando inopportuno organizzare un convegno su Gentile in quanto «ispiratore del Manifesto sulla razza». Rampino invitava pertanto «a prendere gli opportuni provvedimenti per dare un taglio corretto alle iniziative. Nel caso contrario -concludeva- mi riservo di presentare formale protesta al Ministero competente». Morale: il testo della presentazione è stato “corretto”. 

La direttrice, Marina Valensise raggiunta telefonicamente a Parigi, s’è trincerata dietro un “no comment”. Così, definire “bande” chi ha ucciso Gentile urta la sensibilità democratica dell’Anpi, mentre dire che Gentile «ha pagato tragicamente» (“giustamente”?!) l’adesione al fascismo, glissando su un fatto storicamente accreditato ormai dalla stragrande maggioranza degli storici, ossia l’uccisione per mano partigiana, toglie tutti dall’imbarazzo di dover indicare il colpevole, ammesso che lo si consideri tale, visto che aveva ucciso un fascista…