di Giovanni Luigi Manco (Rinascita)
D’Annunzio è il primo grande poeta a scendere risolutamente in campo contro il nuovo imperialismo politico, la mercificazione globale del sistema economico, le pressioni oscurantiste sui dominati volte a inaridire la ragione.
Impresa grande quanto ardua che il poeta, lungi dal rifuggire, affronta impavidamente armato come Ulisse di intelligenza ed astuzia: apparentemente asseconda la nuova moda dell’uomo oggetto, eternamente in vetrina, al centro dell’attenzione, ma solo per ritagliarsi spazi di visibilità, postazioni di combattimento contro le ottusità del passato. E’ nel potere ma non “con” il potere.
Nel 1897, portato in parlamento dai liberali, confida ad un amico: “ho visto che qualche giornale mi presenta come candidato ministeriale di destra ma tu sai bene, meglio di un altro, che sarà stupenda la singolarità delle mie attitudini sui banchi di Montecitorio, io farò parte di me stesso” infatti, appena due anni dopo, in pieno dissenso con il governo Pelloux, passa all’estrema sinistra, dimostrando tutta la sua avversione per il vecchio mondo, la sua tensione per un vivere radicalmente nuovo.
Denuncia per primo, nelle Cronache bizantine e Vergini delle rocce, gli innumerevoli scempi naturalistici orditi dalla follia del lucro, armata di piccone e cazzuola. Partecipa al primo conflitto mondiale per far cadere le aquile in Europa e nel ’19 occupa Fiume per farle cadere anche in Italia.
Il 10/10/’19 i legionari fiumani sequestrano il piroscafo del Lloyd di Trieste, carico di munizioni e viveri, destinati alle truppe antibolsceviche. Sottraggono armi alla reazione russa per impegnarle nella redenzione italiana.
Sulla scia di Marx che, nel 18 Brumaio scriveva: “Per prendere coscienza del proprio contenuto, la rivoluzione del secolo deve lasciare che i morti seppelliscano i loro morti, prima la frase sopraffaceva il contenuto; ora il contenuto trionfa sulla frase” D’Annunzio considera pregiudizievole ogni approccio fondamentalistico, è persuaso che ogni teoria deve essere ripensata, diversificata all’evolversi delle situazioni, rapportata ai dati empirici dell’esperienza.
La Costituzione di Fiume, la prima e unica al mondo sulla base del sindacalismo rivoluzionario, è scritta da D’Annunzio insieme ad Alceste De Ambris, la più grande intelligenza rivoluzionaria in Italia, a giudizio di Lassalle. Un nuovo rivoluzionario ordinamento nel quale il “cittadino”, succeduto al “suddito”, lascia il posto al “compagno”.
“il nome di compagno s’è rinnovellato come un virgulto che fiorisca e fogli; s’è candidato d’innocenza, è ridivenuto la più dolce e la più fiera parola del linguaggio umano, una parola di comunione e una parola di coraggio, un legame dell’attimo e un suggello d’eternità.” (G. D’Annunzio, La Sagra di tutte le fiamme. Discorso ai legionari, Bollettino Ufficiale del 1 settembre 1920) “negli ultimissimi tempi (…) ci si è accorti del valore sociale preponderante che assume ogni giorno più il lavoro organizzato, di fronte al quale il “cittadino” impallidisce sempre più fino a che non lo vedremo svanire come le stelle al sorgere del sole.”
I sudditi subiscono un padrone, i cittadini eleggono padroni, i compagni si associano.
Come può dirsi libero il lavoratore costretto a ubbidire nell’attività che lo impegna quotidianamente? Nessuno è altrettanto competente a gestire la ricchezza quanto i suoi creatori.
Sulla base dell’esperienza rivoluzionaria in Russia, delle critiche di Bakunin e Mazzini sul centralismo “democratico” la Costituzione svella ogni burocratismo e centralismo, nella consapevolezza che “Solo il lavoro è padrone della sostanza resa massicciamente fruttuosa e massicciamente profittevole all’economia generale.” “Nel secolo XI sorse spontaneamente, in seno alla società feudale, il Comune artigiano, il diritto del lavoro affrancato nell’Associazione e nobilitato dal suo stesso sforzo, superando il conflitto delle due forze che si contendevano allora il dominio del mondo: l’impero e la chiesa. Nel secolo XIX sorse non meno spontaneamente il Sindacato in seno alla società borghese ad affermare gli stessi diritti, superando il concetto dello Stato politico ed accentratore, che il sindacato tende a svuotare progressivamente del suo contenuto per attribuirlo a se stesso. Chi non vede questo processo storico è cieco. Chi pretendesse di impedirlo pazzo non meno di colui che pretendesse di impedire agli alberi di fiorire ed alle erbe di spuntare ai tepori primaverili. (A. De Ambris, in La Carta del Carnaro, app. n. 2, il Mulino, 1973)
Una Costituzione che non è, non vuol essere, per i suoi estensori, un punto di arrivo ma di inizio. “Il regno dello spirito umano non è cominciato ancora. Quando la materia operante su la materia potrà tener vece delle braccia dell’uomo, allora lo spirito comincerà a intravedere l’aurora della sua libertà.” “E’ mia intenzione fare di questa città un’isola spirituale dalla quale possa irradiare un’azione, eminentemente comunista, verso tutte le nazioni oppresse.” (Umanità Nova, 9 giugno 1920) “Oggi qualunque sforzo di liberazione non può partire se non da (…) questo Quarnaro che è simile a un “mare futuro” (…) la vera “novità” di vita non è la dove la dottrina di Lenin si smarrisce nel sangue. Il cardo bolscevico si muta qui in rosa italiana: in rosa d’amore.” (De Felice, D’Annunzio politico)