venerdì 10 maggio 2013

Rino Gaetano, l’Italia nelle canzoni



di Andrea Chinappi (L'Intellettuale Dissidente)

Salvatore Antonio era il suo vero nome, ma la sorella Anna preferiva chiamarlo Rino. I Gaetano, famiglia calabrese di Crotone, decidono di trasferirsi nella capitale nel 1960 quando Rino aveva appena dieci anni. L’aria capitolina soffia subito nel cuore del giovane, l’aria di una città che porterà dentro per tutta la vita. Diplomatosi in ragioneria trascorre il suo tempo scrivendo canzoni e cantando con i coetanei. Si avvicina alla vita artistica romana quando inizia a frequentare il Folkstudio, noto ritrovo per giovani cantanti emergenti, dove conosce Venditti e De Gregori. L’ironia dei testi, la schiettezza del linguaggio, il modo di cantare allontanano Rino dal locale, in quegli anni covo di una forte militanza politica cantautoriale per cui mai si schiererà. « Già quando cantavo al Folkstudio ero al centro di certe discussioni… insomma molti non volevano che io facessi i miei pezzi perché, dicevano, sembrava che volessi prendere in giro tutti. »

A scoprire il talento del giovane Rino sarà Vincenzo Micocci, proprietario della casa discografica It, per la quale inizia a produrre i primi album.Nel 1975, il successo: il 45 giri Ma il cielo è sempre più blu ,singolo che gli procurerà fama nazionale, attira l’attenzione dei più accorti orecchi su di lui. Rino veste i panni di un attento realista, acuto osservatore del mondo che lo circonda. Il brano ritrae minuziosamente la realtà quotidiana, divisa tra poveri e ricchi,sfruttatori e sfruttati, vincitori e vinti.
« Ci sono immagini tristi o inutili, ma mai liete, in quanto ho voluto sottolineare che al giorno d’oggi di cose allegre ce ne sono poche ed è per questo che io prendo in considerazione chi muore al lavoro, chi vuole l’aumento. Anche il verso «chi gioca a Sanremo» è triste e negativo, perché chi gioca a Sanremo non pensa a chi «vive in baracca».

Ma il lavoro che lo affermerà tra i più grandi del panorama cantautoriale italiano arriverà soltanto l’anno dopo con Mio fratello è figlio unico, secondo album dell’artista crotonese, in cui la denuncia sociale e politica sempre più sentita si alterna a passi poetici e delicati. L’omonima canzone che apre la raccolta è uno dei testi più interessanti: il titolo che apparentemente sembra un nonsense in realtà indica l’uomo che mancava alla sua società,un individuo forte di grandi valori e ambiziose aspirazioni, alieno da facili compromessi e scevro da qualunquismo,convinto che esistono ancora gli sfruttati, mal pagati e frustrati. È un Rino Gaetano più maturo, più drammatico, più attento. L’anno successivo il terzo album, Aida. Nell’open-track, prendendo il nome dall’opera di Verdi, viene raccontata la storia dell’Italia degli ultimi cinquant’anni, dalla guerra di Libia alla Guerra Fredda, in modo del tutto originale, poetico ed essenziale. Nella stessa raccolta troviamo “ Escluso il cane”, brano in cui Rino con rabbia denuncia la falsità delle persone e afferma appunto di amare in maniera sincera solamente il cane, poiché «tutti gli altri son cattivi, pressoché poco disponibili», e “Spendi Spandi Effendi”, canzone che affronta il tema della crisi petrolifera di quegli anni dove ironizza sulla figura dell’Effendi, quel signore che consuma abitualmente una tazza di petrolio alle cinque del pomeriggio. In seguito Rino viene invitato a partecipare al 28° Festival della Canzone Italiana, manifestazione da sempre osteggiata dai cantautori ma a cui accetta di partecipare,seppure a malincuore. Qui raccoglie un enorme consenso tra il pubblico, tanto che la sua canzone, “ Gianna”, si aggiudica il terzo posto. L’esperienza sanremese non lo entusiasma, tanto da dichiarare in seguito: « Sanremo non significa niente e non a caso ho partecipato con Gianna che non significa niente. »

Nel quarto album Rino raggiungerà l’apice della denuncia politica con il brano Nun te reggae più, ( espressione presa dal dialetto romanesco “ Nun te reggo” , non ti sopporto), testo per il quale viene rifiutato da molte trasmissioni televisive, «una canzone di grande divertimento che però aveva il coraggio delle sue azioni, non si tirava mai indietro: nomi e cognomi per tutti nei tempi in cui fare nome e cognome per tutti era molto difficile ». Infatti Rino nelle strofe del brano fa dei veri e propri elenchi dei nomi che in quegli anni affollavano giornali, radio e televisioni, dal mondo dello spettacolo e dello sport a quello politico. Il testo è un grido di denuncia rivolto a tutti gli ascoltatori, è analisi ironica ma tagliente della situazione italiana di quegli anni, l’Italia dei paradossi, del compromesso storico, di Berlinguer, della crisi petrolifera e Cazzaniga, dei partiti senza fatti e soluzioni, dell’immunità parlamentare,delle P38, dell’omicidio di Capocotta, tutt’ora irrisolto, per cui ci si ricorda solo che i personaggi coinvolti erano soliti indossare Cartier,Gardin,Gucci. Nel 1979 prima di un concerto urla al pubblico « C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio! Io non li temo! Non ci riusciranno! Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni! Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno che cosa voglio dire questa sera! Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale! E si chiederanno cosa succedeva sulla spiaggia di Capocotta.»
Ma l’ironia della sorte vuole che la vita di Rino si spezzi in una notte di giugno del 1981, a causa di un incidente stradale, una morte misteriosamente presagita in una canzone dei suoi primi anni al Folkstudio ” La ballata di Renzo”. Renzo, investito da un auto nella notte, viene rifiutato da ogni ospedale e « la strada era buia, s’andò al S. Camillo
e lì non l’accettarono forse per l’orario,
si pregò tutti i santi ma s’andò al S. Giovanni
e lì non lo vollero per lo sciopero ». Sconvolgenti e profetiche le parole scritte dieci anni prima, perchè lui, come Renzo, morì per il mancato ricovero tra il viavai degli ospedali.
Chi era Rino Gaetano? Molte persone difficilmente riescono a categorizzarlo, a capirne davvero la rilevanza che ha avuto nel panorama musicale italiano. Paladino della giustizia, dissacratore del pop, intrattenitore appassionato, graffiante critico, acceso dissidente,schietto, ironico, poetico, diretto, ha descitto l’Italia dei suoi anni, il paese delle contraddizioni, un trentennio che per moltissimi aspetti ricorda il nostro presente in cui partono tutti incendiari e fieri
ma quando arrivano sono tutti pompieri.