sabato 22 marzo 2014

Torna “Viaggio nella vertigine”, il libro che rivelò all’Occidente gli orrori dei gulag staliniani...


di Renato Berio (Secolo d'Italia)


Torna un classico della letteratura anti-gulag, pagine pionieristiche sugli orrori della dittatura comunista in Urss. Si tratta di Viaggio nella vertigine di Evgenija Ginzburg (edito da Baldini & Castoldi) che racconta il processo subito dall’autrice nel 1937 e la condanna a diciotto anni di carcere duro e lavori forzati nel lager di Kolyma. Un processo di soli sette minuti per consegnare una presunta controrivoluzionaria ai suoi carcerieri, un uomo e una donna che uccidono “senza ragione”, semplicemente perché non consideravano gli internati “persone umane”. E che sorvegliano un’umanità bestiale o che deve imbestialirsi. L’autrice troverà rifugio nella fede ma ciò che racconta fa del suo Viaggio un itinerario infernale negli abissi dello spirito e uno dei libri più belli scritti nel Novecento.

Quando nel 1961 il XXII congresso del partito lancia la destalinizzazione la Ginzburg, che ha terminato le 400 pagine della prima stesura del romanzo, si trasferisce a Mosca con la speranza di vederlo pubblicato. Una speranza vana perché, anche se Stalin è caduto, l’argomento gulag resta tabù. Nonostante tutto, l’opera della Ginzburg inizia a diffondersi nel samizdat e appena giunge nelle redazioni batte i record di tiratura della letteratura clandestina.

Nel 1967 il primo volume di Viaggio nella vertigine viene pubblicato a Milano da Mondadori: il manoscritto aveva oltrepassato i confini dell’Urss dopo essere stato registrato su nastro all’insaputa della Ginzburg. Presto il libro uscì anche a Londra, Monaco, Parigi, New York e Stoccolma e alcuni capitoli vennero letti alla Bbc. Le memorie della Ginzburg hanno ispirato il film di Marleen Gorris del 2010. Alcune sequenze sottolineano la disumanità della repressione che colpisce la protagonista: i minuti (meno di 5) che i giudici impiegano per emettere una scontata sentenza di condanna. C’è poi la scena del treno che conduce le deportate al campo di prigionia. Una di loro si ostina a cantare una canzone che glorifica Stalin “perché Lui è all’oscuro di quanto sta avvenendo e quando saprà farà giustizia”. In quel momento si percepisce il potere di accecamento delle menti più deboli esercitato dai regimi totalitari, e il livello di fanatismo che essi producono.