Quel che succede a Taranto, con il peggioramento della qualità della vita in città e l’aumento dei tumori e delle leucemie infantili a causa dell’inquinamento delle fabbriche sul territorio è emblematico d’uno sviluppo indiscriminato e nocivo e ripropone ancora una volta con forza il dilemma salute-occupazione. Ma, aggiungiamo subito, falso dilemma, perché occorre domandarsi: quale lavoro?
Ci affidiamo alla pregevole e lucida analisi di Massimo Fini, che ha il dono della concisione e dell’efficacia:
“Prima della Rivoluzione industriale il lavoro non era mai stato
considerato un valore. Tanto che è nobile chi non lavora e artigiani e
contadini lavorano per quanto gli basta, il resto è vita. (…) E’
l’Illuminismo che (…) fa del lavoro un valore, sia nella sua
declinazione liberista che marxista. Per Marx il lavoro è ‘l’essenza del
valore’, per i liberisti (Adam Smith, David Ricardo) è quel fattore che
combinandosi col capitale dà il famoso ‘plusvalore’. Da questo punto di
vista liberismo e marxismo si differenziano molto poco (…). E’ da qui
che ha inizio la deriva economicista che ci porterà al paradosso per cui
noi oggi non produciamo nemmeno più per consumare ma consumiamo per
poter continuare a produrre. E un operaio deve scegliere fra lavoro e
salute. O la cassiera di un Supermarket deve considerare vita passare
otto ore al giorno alla calcolatrice senza scambiare una parola col
cliente-consumatore. O un ragazzo deve sentirsi fortunato se lavora in
un call-center. (…) Abbiamo usato malissimo la tecnologia. Avrebbe
potuto liberarci dalla schiavitù del lavoro e invece l’abbiamo
utilizzata per renderlo ancor più alienante, o assente proprio mentre lo
abbiamo reso necessario.” (Massimo Fini, da Il Fatto Quotidiano, 7
dicembre 2013).
Sia Marx che gli economisti borghesi, infatti, nelle loro costruzioni economiche hanno ignorato il fattore terra,
hanno costruito le loro teorie a prescindere dalla terra e dalla
biologia, con la conseguenza che il mondo e la vita degli individui sono
diventati solo un limone da spremere nel nome del profitto o di un
improbabile avvenire. La grande finanza oggi dominante prescinde perfino
dall’economia reale. Oggi non è più vero che il lavoro sia sempre un
valore. Occorre più che mai distinguere tra occupazioni utili e lavori
non più necessari, puntando sull’efficienza tecnologica e sulla
sobrietà.