mercoledì 30 luglio 2014

Il caos in Libia è una sciagura per l’Italia


di Mauro Indelicato (L'Intellettuale Dissidente)

Nulla di nuovo sotto il sole caldo della Libia; nei media tradizionali, si usano espressioni come “colpo di scena”, “mondo in allarme”, un po’ come se fossero tutti sorpresi di quanto sta capitando nel paese africano, ma già negli ultimi giorni di resistenza di Gheddafi in molti prevedevano uno scenario libico molto simile a quello somalo, con uno Stato di fatto fallito, il cui governo non ha più alcuna sovranità.

La situazione è forse peggiore dell’Afghanistan, lì dove il presidente viene chiamato “Sindaco di Kabul”, per via del fatto che la propria autorità non travalica i confini della capitale, ma in Libia nemmeno Tripoli e Bengasi sembrano essere sotto il controllo di alcuna autorità, anche perché autorità non ce n’è. I soldati che sembrano “regolari”, con tanto di divise, sono invece fedeli al generale Haftar, che dopo 20 anni di vita negli USA è tornato in patria per cercare di prendere le redini del gioco sotto l’evidente e marca spinta del paese che lo ha ospitato per tanti anni. Poi sul campo, ci sono tutta una serie di fazioni, spesso corrispondenti alle tradizionali tribù con cui è suddivisa la società libica e che rivendicano ciascuna fette di potere dopo essere state pagate per cacciare Gheddafi e porre in essere davanti gli occhi del mondo il teatrino della “resistenza” libica.

L’unico elemento di sorpresa, riguarda il fatto che in molti si aspettavano una frammentazione del paese seguendo la suddivisione storica della Libia, con l’autonomia cioè di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, ma pare che anche questi confini siano stati abbattuti ed a loro volta frammentati e così la spaccatura libica ha confini ancora più ristretti, seguendo le rivendicazioni non di intere regioni, ma di singole tribù o si singole famiglie.

Ma per il resto, per l’appunto, lo spacchettamento del paese era messo in conto ed anzi forse anche pianificato all’atto della brutale invasione della NATO cominciata nel marzo del 2011. Ciò che deve preoccupare adesso, sono le conseguenze che questa situazione avrà per i paesi vicini, in primis per l’Italia.

Per il nostro paese, vedere fallire un paese che costituiva un vero e proprio supermarket energetico a due passi dal giardino di casa, è una tragedia economica di proporzioni difficilmente immaginabili; forte degli antichi legami coloniali, Roma e Tripoli avevano relazioni privilegiate ed invidiate dal resto del mondo, che garantiva al nostro paese il 40% dell’approvvigionamento petrolifero e del gas, nonché anche investimenti di ogni tipo, come la costruzione fatta interamente da imprese italiane della super autostrada tra Tripoli e Bengasi. La caduta di Gheddafi, ha cancellato tutto; prima perché USA, Gran Bretagna e soprattutto la Francia, si sono insinuate di prepotenza nello scacchiere libico, stringendo accordi con coloro che hanno abbandonato Gheddafi per stringere le mani piene di Dollari dei capi di governo occidentali, poi perché quella poca produzione rimasta nelle mani di aziende italiane, oggi è quasi impossibile continuarla per via dei problemi di sicurezza.

Gli impianti sono ripetutamente attaccati dalle milizie, spesso si deve ricorrere a mercenari per proteggere le strutture, una situazione quindi che potrebbe far crollare già quest’inverno gran parte dell’approvvigionamento energico per l’Italia. Ma quello di gas e petrolio non è l’unico problema per il nostro paese. Infatti, dalla Libia arriva circa il 96% dei migranti che sbarcano sulle coste siciliane; una Libia fuori controllo, vuol dire via libera per i tanti criminali trafficanti di esseri umani, i quali hanno il controllo dei tanti porti grandi e piccoli della costa libica, specie in Tripolitania.

Di fatto, anche volendo, il governo italiano a differenza di prima non ha una controparte con cui poter discutere circa il problema dell’immigrazione; mentre con la Tunisia sono stati stretti accordi che hanno quasi azzerato le partenze da questo paese, a Tripoli non esiste un governo capace di mettere mano alla questione e poter garantire la sicurezza nel Mediterraneo.

Sembrano lontani i giorni in cui la Libia poteva vantare uno dei PIL più alti dell’Africa ed uno standard di vita superiore a molti paesi vicini; i libici godevano di uno stato sociale di prim’ordine, così come di diritti sociali oggi utopistici in molte parti d’Europa, come per esempio il diritto ad una casa assegnata dallo Stato quando una coppia decideva di sposarsi. Tutto questo non c’è più, non c’è più forse nemmeno la Libia, frantumata dallo spirito neo colonialista e prepotente di un occidente sempre più miope di fronte ai cambiamenti dello scenario internazionale. E in tutto questo, da sottolineare l’atteggiamento suicida di Roma, che contro i propri interessi è andata lei stessa a bombardare un paese che garantiva introiti e rifornimenti energetici.

Adesso quello stesso occidente però, tanto spavaldo nel marzo del 2011, oggi non è in grado di prendere il controllo della situazione; l’assassinio dell’ambasciatore americano a Bengasi nel 2012, era solo un avvertimento: oggi tutti i diplomatici di quei paesi che hanno bombardato la Libia, scappano dal paese. Una fuga da vigliacchi, di chi si gira subito dall’altra parte dopo aver causato un danno irreparabile per un popolo che adesso si ritrova senza uno Stato e con una grave situazione umanitaria.

Prima le bombe, poi la fuga: ecco l’occidente di oggi, quell’occidente che si professa esportatore di democrazia, che in nome di essa provoca guerre, infligge sanzioni e che poi, dopo aver perso di mano la situazione, scappa via lavandosene le mani. Ma dalla Libia il peggio deve ancora venire: lo scenario è imprevedibile e fuori controllo, ogni città del paese è in mano ad una fazione diversa, con gli islamisti pronti a replicare a pochi chilometri dalle nostre coste l’atroce esperimento che l’ISIL sta effettuando tra Iraq e Siria.

L’effetto boomerang del siluramento di Gheddafi, ancora deve dimostrare la sua massima potenza distruttiva: ed a piangere saranno gli stati del Mediterraneo confinanti alla Libia, con in testa un’Italia sempre più incapace di salvaguardare i suoi stessi interessi.