venerdì 16 novembre 2012

Gaza: l'invasione di terra è solo questione di tempo


di Alessia Lai (Rinascita)

È un copione tristemente già visto.
Sono sacrifici umani quelli che Israele fa, ciclicamente, per mostrare al mondo chi ha veramente il potere nella terra di Palestina. Come accadde in occasione di “Piombo Fuso”, l’operazione a cavallo fra il 2008 e il 2009 fece più di 1400 morti in 20 giorni di bombardamenti - 800 erano donne e bambini – l’altare di questo nuovo olocausto palestinese sono le urne elettorali. Tra pochi mesi, a gennaio, Benjamin Netanyahu si ripresenterà alle elezioni e una nuova offensiva contro Gaza gli garantirà di certo i voti delle destre radicali israeliane. Sarebbe altrimenti inspiegabile un’operazione militare arrivata poche ore dopo la disponibilità manifestata da Hamas e dalla Jiad islamica a una tregua, anche unilaterale. Ahmed Jabari, il capo dell’ala militare di Hamas la cui uccisione mirata ha dato inizio all’operazione “Colonna di nuvole”, è stato eliminato mentre era in corso una trattativa per stabilire una tregua permanente con Israele.
A sostenerlo è stato in una intervista a Ha’aretz il pacifista israeliano Gershon Baskin, in passato mediatore tra Israele e Hamas per il rilascio di Gilad Shalit e da allora in contatto con il movimento islamista e l’intelligence egiziana. Ma da Tel Aviv la versione ufficiale rimane quella della reazione ai lanci di razzi da parte di Hamas e di altri gruppi palestinesi, le stesse motivazioni di quattro anni fa. Cambia solo lo schieramento politico, allora a guidare Israele era una coalizione di centrosinistra che non riuscì ad essere riconfermata a causa del passaggio del laburista Barak tra le fila della alleanza di centrodestra guidata da Netanyahu. Lo stesso Ehud Barak che da allora ha mantenuto il suo incarico di ministro della Difesa, attraversando intonso due schieramenti opposti e segnando la continuità tra “Piombo Fuso” e “Colonna di Nuvole”. Una continuità, nei metodi e nelle strategie, confermata - pur con l’intenzione di negare un collegamento con l’imminente voto - dall’ambasciatore israeliano in Italia Naor Gilon, che ha evidenziato come “tutti i maggiori partiti israeliani d’impronta sionista” siano favorevoli - senza distinzioni fra maggioranza e opposizione - all’azione militare scatenata mercoledì, osservando che questa è stata ordinata da “un governo di centrodestra” mentre l’operazione “Piombo Fuso” fu decisa da “un governo di centrosinistra”. La guerra, insomma, è un’opzione che trova sempre appoggio tra i politici israeliani. Come pure tra i loro alleati internazionali. Ieri il presidente americano Barack Obama ha avuto un colloquio telefonico con il premier israeliano Benjamin Netanyahu sui raid a Gaza. Un’ora di telefonata durante la quale Obama ha avuto modo di parlare anche con il presidente israeliano Shimon Peres. Il neo rieletto presidente Usa ha ribadito a Netanyahu l’appoggio degli Stati Uniti a quello che ha definito “il diritto di auto difesa di Israele”. Totale appoggio a Tel Aviv è arrivato anche da Londra, che nelle parole del ministro degli Esteri, William Hague, ha accusato Hamas di avere la “principale responsabilità” della nuova crisi, affermando che la resistenza palestinese dovrebbe cessare “immediatamente” i lanci di razzi. Più o meno le stesse parole di Ban ki moon, che parlando telefonicamente con Netanyahu ha ribadito la sua ferma condanna del lancio di razzi da Gaza, limitandosi a invitare Tel Aviv ad avere reazioni misurate.
Sullo sfondo di queste chiacchiere le vittime dei bombardamenti israeliani restano fotografie un po’ splatter da relegare ad effetto secondario del diritto all’autodifesa israeliana. Talmente marginali da non meritare nemmeno una dichiarazione formale al termine della riunione indetta d’urgenza mercoledì sera dal Consiglio di Sicurezza Onu. Le uniche voci indignate sono state quelle dei Paesi arabi, primo fra tutti l’Egitto dei Fratelli Musulmani, che ha deciso tra l’altro la riapertura del valico di Rafah per permettere l’evacuazione dei feriti e la consegna di aiuti ospedalieri all’enclave palestinese. “Gli israeliani devono capire che l’aggressione contro Gaza è inaccettabile e che non potrà che portare all’instabilità nella regione”, ha affermato ieri il presidente egiziano, Mohamed Morsi, “braccato” da Obama, Ban Ki moon e dalla stessa Tel Aviv perché si faccia garante di una sorta di mediazione, che in realtà a questo punto sarebbe un cessate il fuoco unilaterale palestinese. Se Mubarak fosse ancora al suo posto gli israeliani e i loro alleati non avrebbero di che preoccuparsi, ma la nuova dirigenza egiziana potrebbe riservare sorprese. Il governo de Il Cairo ha convocato ieri una riunione straordinaria per esaminare la situazione a Gaza e pare che il capo dei servizi segreti egiziani, il generale Mohamed Raafat Shehata, sia rientrato all’improvviso nel Paese da una visita in Turchia. Dopotutto il confine con Israele è lungo e sensibile e pare che gruppi di jiadisti si stiano muovendo nel Sinai con l’intenzione di agire. In ogni caso, almeno per ora e cioè finché Washington non minaccerà di sospendere i fondi destinati alla Difesa egiziana, Il Cairo è apertamente schierata al fianco di Gaza. Tanto che il primo ministro egiziano Hisham Qandil si recherà oggi nella Striscia “accompagnato da numerosi ministri”, ha dichiarato ieri un portavoce del governo di Hamas, Taher al Nounou. L’offensiva israeliana fino a ieri pomeriggio aveva causato 15 morti, tra i quali diversi bambini e una donna incinta, e centinaia di feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni.
La risposta palestinese avrebbe fatto invece tre morti nella cittadina Kiryat Malachi. Una controffensiva che si è spinta sino a Tel Aviv, nelle cui vicinanze è caduto un missile lasciato dalla Jiad islamica senza però causare danni. Un fatto che non accadeva da molti anni e che potrebbe far inasprire la reazione dell’esercito israeliano che già nei giorni scorsi non aveva escluso la possibilità di un attacco via terra alla Striscia e aveva richiamato i riservisti in vista di un’escalation militare. Ieri pomeriggio le forze armate di Tel Aviv hanno iniziato a concentrare carri armati lungo il confine con l’enclave palestinese. L’invasione sarebbe un’ulteriore dimostrazione dello “sproporzionato” uso della forza da parte di Tshaal denunciato ieri dal portavoce del ministero degli Esteri russo, che citato dalla Ria Novosti ha definito “completamente inaccettabile” la reazione di Israele, riferendosi ai bombardamenti della notte tra mercoledì e giovedì. Ma la spirale è stata oramai innescata: Hamas ieri pomeriggio ha respinto qualsiasi ipotesi di tregua. “Non ci esporremo ad altri inganni orditi dalle forze di occupazione”, hanno detto durante una conferenza stampa a Gaza, trasmessa in diretta da Al Jazeera, i due portavoce Fauzi Barhum e Sami Abu Zah. Parole dalle quali si intende che effettivamente erano in corso dei negoziati per una tregua, falliti con l’uccisione del principale interlocutore. “Gli israeliani hanno cominciato la guerra - hanno concluso i due - ma non hanno il potere di deciderne la fine”.