di Lorenzo Vitelli (L'Intellettuale Dissidente)
La scena finale di The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese si chiude con una carrellata in cui vediamo ripresi i volti dei partecipanti al meeting di Jordan Belfort. Le espressioni esplicano chiaramente la matrice che impegna la trama del film. E queste facce le abbiamo viste milioni di volte, ovunque, in ognuno. Perché tutti hanno sognato di condurre la vita di Jordan Belfort, la corsa all’oro, lo sballo, le droghe, le prostitute, fottere il sistema per divenire, finalmente, il sistema. Hollywood non ha mai mancato al suo ruolo, mutatis mutandis, di descrivere l’american way of life, l’universale modello di vita dell’individuo d’Occidente di cui Scorsese si rende testimone. Il denaro si è insediato nelle coscienze ed è divenuto l’obiettivo ultimo della società improntata sul modello capitalistico liberal-libertario. Perché? Perché il denaro, pur non essendo fonte di felicità, è il ponte diretto con il piacere. Non c’è altro da aggiungere. Questa è l’antropologia dell’Ultimo Uomo.
Se pensiamo di conseguenza che la concezione freudiana della psiche pensa all’Eros come la più potente delle forze intrapsichiche, lo psicanalista tedesco non potrebbe contraddire, oggi come oggi, l’importanza del denaro per quel che riguarda il soddisfacimento dei propri desideri, sessuali o meno. Freud infatti presuppone l’esistenza di un principio di piacere in cui l’entità psichica dominante è l’Es: la libertà istintuale e sessuale, la libido, la volontà di soddisfazione illimitata. L’uomo è dunque naturalmente e inizialmente incline al piacere e al suo appagamento tanto da volersi libero da questo desiderio: all’Eros segue infatti Thanatos, ovvero la completezza e la liberazione dalla brama, l’inconscia voglia di tornare in un stato pre-uterino, nel nirvana, che è inevitabilmente autodistruzione e morte.
A contrapporsi, tuttavia, a questa dimensione che comporta, appunto, il principio dell’hybris, dell’illimitato e perciò stesso impossibile desiderio di appagamento, vi è il principio di realtà, rappresentato dal mondo esterno, dalla Cultura, e integrato psicologicamente attraverso la creazione di quell’istanza intrapsichica denominata Super Io. Essa detta la norma, la morale ed il comportamento, decide i valori del bene e del male, secondo quella che è, marxianamente, la sovrastruttura ideologica di un determinata società.
Tralasciando l’analisi storica che vede il principio di piacere soccombere sotto il principio di realtà, è a questo punto lecito pensare, come sostiene Freud, che questi due principi vivano in eterno conflitto e che l’uomo, incline al desiderio, è condannato – per evitare una potenziale autodistruzione – ad accettare la repressione da parte del principio razionale, dell’ordine, della morale civile. Per Freud non è infatti plausibile né auspicabile un dominio incondizionato del principio di piacere, e una liberazione incondizionata di questo principio implica la degradazione della vita sociale.
Tuttavia la condizione post-moderna sembra rappresentare un ribaltamento di quest’ordine in favore di un dominio dell’Es. E la post-modernità – permeata da un consumismo totalizzante e regolata dal solo principio della forma merce – sembra riempire ogni contenuto di una connotazione sessuale, cosicché la realtà invita alla libido, all’emancipazione delle pulsioni istintuali, all’appagamento, e il denaro è divenuto il mezzo di scambio attraverso cui soddisfare il proprio piacere, perché, finalmente, caduto ogni tabù all’egida del riformismo sessantottino, la realtà si è mercificata. La civiltà Occidentale è quindi entrata in un processo regressivo, proiettato tuttavia in avanti nel tempo, che è la sua stessa autodistruzione, rappresentata da questa smania di soddisfacimento, alla quale segue l’estinzione, l’implosione in un Nirvana inaccessibile, se non con il proprio tramonto.
L’ultimo film di Scorsese apre necessariamente uno scenario lampante, e interviene a mostrarci come anche il lavoro, che Freud intendeva come luogo privilegiato della repressione culturale dell’individuo, viene invece ribaltato completamente e reso luogo in cui il principio di piacere può esprimersi meglio. Non è più il principio di piacere che si adatta al principio di realtà (o di prestazione), ma è la cultura stessa che si adegua alla sessualità, alla distruzione, alla violenza, e non solo la legittima, ma la esalta. Il mondo della grande finanza, prisma attraverso il quale vediamo agire, esasperatamente, le dinamiche che si vengono a normalizzare in tutti gli strati sociali, è forse l’esempio migliore per esplicare questa trasformazione.
I desideri e gli istinti non sono più sublimati in altro, canalizzati in forme “alte” di soddisfacimento, ma sono invece incanalati in una logica altrettanto repressiva: l’imposizione del godimento. La necessità di sopraffare il prossimo per garantirsi la propria parte di piacere, attraverso la merce, il sesso, la droga, e tutte quelle dimensioni su cui il sistema consumistico può rapidamente monetizzare e alimentarsi.
Sembra dunque necessario, secondo Marcuse, trovare un equilibrio tra i due principi – di piacere e di realtà – e riuscire a sublimare il desiderio nel mondo in modo creativo e non distruttivo, canalizzando la pulsione erotica – di cui anche Platone avverte la potenza positiva – in un ciclo virtuoso. Fu proprio il filosofo greco ad insegnarci per primo che l’Eros (il cavallo nero nel mito dell’auriga) è la più forte delle nostre entità intrapsichiche , ma limitarlo nell’ambito della sessualità, come fa lo stesso Freud, incentrandosi sul complesso edipico, non coglie quelle potenzialità che vanno ben oltre l’accumulazione di denaro in vista del godimento. Noi siamo altro.