mercoledì 27 novembre 2013

Teo Mammucari scherza su piazzale Loreto. Ed è rivolta sul web...



di Annamaria Gravino (Secolo d'Italia)


Irriverenti, va bene. Ma fino a che punto ci si può spingere per cercare la battuta facile? Un esempio lo ha fornito la puntata di ieri de Le Iene, durante la quale Teo Mammucari, parlando di calendari, ha detto che quello di Mussolini è l’unico che si può mettere a testa in giù. Il riferimento a piazzale Loreto in un contesto cabarettistico ha provocato una dura reazione sul web e in particolare sulla pagina facebook del programma e sul profilo twitter di Mammucari. Per avere un’idea di ciò che si è scatenato basti dire che in poche ore i commenti al post della puntata sono arrivati quasi a quota 400. Si va dagli insulti all’augurio per il conduttore di ritrovasi lui a testa in giù, ma si passa anche per la frequente, amara constatazione sullo «squallore» di quella battuta. E se c’è chi si complimenta per la trovata, molti sottolineano il fatto che ci vorrebbe più rispetto per i morti e per la storia d’Italia. Certo è che la battuta di Mammucari, che poi vuol dire la battuta degli autori del programma, dimostra se non altro una rara superficialità, una incapacità di elaborare che forse è peggio e più preoccupante perfino di certe manifestazioni di quell’antifascismo militante per cui la morte, se è di un fascista, non solo non merita rispetto, ma va accolta con favore, possibilmente anche con dileggio. Non sembra sia questo il caso.

Le Iene non sono un programma militante, sono un programma mainstream, che come tale ha spesso la tendenza alla banalizzazione o alla facile provocazione. Ma di facile, nella faccenda di piazzale Loreto, non c’è proprio nulla. Quell’episodio, non a caso ancora dibattutissimo e soggetto a interpretazioni e revisioni anche a sinistra, rimanda a temi complicatissimi: sul piano strettamente italiano, per esempio, dalla riflessione sulla storia del secolo scorso alle radici della nostra democrazia; su un piano più universale, dalla sorte che spesso tocca al corpo del nemico, tanto più se è stato il capo, all’anima bestiale che muove le folle nel momento della sconfitta di un regime. La sorte dei corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci è storia di oggi molto più di quanto si pensi. Intanto perché non è stata storicizzata, è qualcosa di cui ancora non si sono capiti fino in fondo portata e significato. Poi perché, ancora oggi, è diffusa l’idea che del corpo del nemico si possa fare scempio impunemente. Che anzi, forse, si debba fare scempio come atto liberatorio, come affermazione di forza, come negazione di una umanità che tanto più va svilita quanto più ha rappresentato il proprio specchio. Gli italiani che amarono e seguirono Mussolini furono pronti a sputare sul suo corpo o per lo meno ad accettare che questo avvenisse né più né meno di quanto gli iracheni, appena ieri, hanno fatto con Saddam Hussein. Da qualunque prospettiva si voglia guardare – umana, civile, politica, storica – in questo c’è qualcosa di profondamente tragico e smisurato, che dovrebbe rendere inaccettabile per chiunque l’idea di farne battute da share.