di Mario Bozzi Sentieri (Barbadillo)
Arriva sul piccolo schermo (Rai1 il 28 e 29 ottobre) Adriano Olivetti. La forza di un sogno, miniserie coprodotta da
Rai Fiction e Casanova Multimedia. Ad interpretare l’eccentrico
imprenditore di Ivrea è Luca Zingaretti, sotto la regia di Michele
Soavi, nipote, da parte di madre, dello stesso Olivetti e figlio di
Giorgio, intellettuale raffinato, poeta e giornalista (tra i fondatori
de “il Giornale”), in gioventù soldato della Repubblica Sociale
Italiana, da cui disertò, trasferendo il suo dramma interiore nel libro
Un banco di nebbia.
Nel titolo della fiction, La forza di un sogno, c’è la sintesi di una storia,
quella di chi ha provato a coniugare capitalismo e profitto con
bellezza, cultura e solidarietà sociale. Ingegnere chimico, erede di
una ricca dinastia imprenditoriale, con sede ad Ivrea, di religione
valdese, ma convertitosi al cattolicesimo nel 1949, antifascista di
orientamento azionista, ma vicino al fascismo “intellettuale”, quello di
Giuseppe Bottai e dell’architettura razionalista , a cui legò i
progetti del suo nuovo stabilimento, Adriano Olivetti è, nel
dopoguerra, l’imprenditore-politico che immagina la fabbrica-mezzo, non
solo dispensatrice di profitti, ma anche di cultura e di servizi, cuore
della comunità, in cui realizzare un’autentica, concreta solidarietà,
base di un’ idea nuova di Stato: “Voglio che la Olivetti non sia solo
una fabbrica – afferma – ma un modello, uno stile di vita. Voglio che
produca libertà e bellezza perché saranno libertà e bellezza a dirci
come essere felici”. Ecco allora la fabbrica aperta alla luce, in cui
gli orari sono ridotti ed i salari aumentati, i lavoratori vengono
incentivati a studiare e a leggere, i loro figli hanno asili nido – si
direbbe oggi – “di prossimità” e l’assistenza sanitaria è gratuita.
Non è stato, quello di Olivetti, un impegno solo intellettuale e sociale. Nel 1948, proprio per dare sostanza politica alle sue analisi (è del 1945 L’ordine politico delle Comunità
che va considerato la base teorica per una nuova idea dello Stato, dove
accanto alla Camera politica, espressione delle comunità, ci sia anche
un Senato della tecnica e delle competenze), Olivetti fonda il Movimento
Comunità, con l’ambizione di costituire una terza forza, fra la
Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista. I tempi non erano
evidentemente maturi. L’idea di una politica “nuova”, al di là del
capitalismo e del socialismo, si scontrava con i “blocchi” dell’epoca e
da essi venne schiacciata. Parlando della fine di quella esperienza ,
“l’Unità”, organo del Pci, scrisse, nel 1958, di “fallimento di tutte
le teorie della collaborazione di classe e delle strane elucubrazioni
che attorno a Comunità si sono venute enucleando”.
Per anni su quell’esperienza e sul suo protagonista calò il silenzio. Grazie anche alla fiction con
Luca Zingaretti ora è bene che il discorso venga riaperto, evitando –
ci auguriamo – di fare del personaggio un innocuo santino, ma chiedendo
piuttosto: nel gioco delle scomposizioni-ricomposizioni post ideologiche
che ruolo può occupare Adriano Olivetti ? Il tema del “comunitarismo”
ha visto crescere, negli ultimi anni, interessi diversi, legati alle
scuole d’oltreceano, che fanno capo a Alasdair MacIntyre, Charles
Taylor, Michael Sandel, Robert N. Bellah, Michael Walzer.
Bisogna però anche ricordare che è stata la Nuova Destra
italiana, sul finire degli Anni Settanta, a farne uno dei suoi temi
distintivi. Nel primo numero di “Elementi”, uscito nell’autunno
1978, è Alain de Benoist a firmare un lungo articolo (“’Comunità’ e
‘società’”) dedicato al sociologo Ferdinand Tonnies e alle sue teorie
organicistiche. Tra le immagini che integravano quell’articolo c’era anche la copertina della prima edizione di Comunità e società,
pubblicata nei classici della sociologia delle Edizioni di Comunità, le
edizioni volute da Olivetti, griffate con quella campana ed il motto
“Humana Civilitas” che era stato il suo simbolo politico. Una consonanza
che ci piace sottolineare, invitando a leggere finalmente l’esperienza
olivettiana liberi da qualsiasi schematizzazione ideologica, e cercando
di comprendere nel profondo la “forza di un sogno”. Con in più la
consapevolezza che, oggi, di tornare a sognare abbiamo tutti un grande
bisogno.