di Lorenzo Vitelli (L'Intellettuale Dissidente)
"A me sembra fuor di dubbio che, se lasciaste a tutti questi alti maestri contemporanei la piena possibilità di distruggere la vecchia società e ricostruirla di nuovo, ne verrebbe fuori una tale tenebra, un tale caos, qualcosa di talmente volgare, cieco e inumano, che tutto l’edificio crollerebbe sotto le maledizioni dell’umanità prima di essere compiuto" Fedor Dostoevskij
Il 1968 dei moti studenteschi ed operai fu protesta e non rivoluzione, fu riformismo, svolta morale verso il “nuovo”, contro il “vecchio”. A questo cambiamento rispose positivamente, e con pari intensità, il ciclo consumista, che adeguandosi ed accelerando il processo di trasposizione delle mentalità da un sistema di valori ad un altro, intervenne a modificare le dinamiche della società Occidentale e la natura stessa delle entità intrapsichiche che dominano l’individuo. In questa logica si inserisce il femminismo, come ponte di transizione da un periodo storico ad un altro. Non il primo femminismo, legittimato da un bisogno sincero di parità in luogo di diritto, ma quel femminismo isterico ed esasperato che ha assunto rilevanza a livello politico e sociale tanto da influenzare totalmente il modo di concepire il rapporto tra i sessi ed i sessi stessi: si pensi alle ultime dichiarazioni della Boldrini. E l’universo della moda si dimostra una lente importante attraverso la quale guardare i recenti sviluppi, senonché le pretese, dei nostri costumi, della nostra civiltà, del nostro modo di rapportarci con il reale e di interpretare la vita. Attualmente i costumi affermano, con tripudio, la devirilizzazione dell’uomo e la mascolinizzazione della donna, l’intercambiabilità dei ruoli e degli status, e assumono, in quanto assoluta, l’uguaglianza di genere di due nature biologicamente diverse come indifferenziate.
In Germania è stata abolito l’obbligo di definire il sesso alla nascita, mentre tutte Europa dibatte sulla nuova forma famigliare: genitore 1 e genitore 2. La Svezia, tra i Paesi più avanguardisti per quanto riguarda la rivoluzione dell’egualitarismo dei sessi, sta approvando a livello anagrafico l’utilizzo di nomi neutri per i nascituri, in modo da non creare troppi problemi in caso si volesse cambiare sesso. La politica dei social-democratici si preoccupa dell’eliminazione delle toilette separate, mentre i marchi d’abbigliamento vogliono abolire la distinzione “bambino”, “bambina” a favore del capo unisex.
Già di moda nei primi anni 70′, l’unisex è, secondo gli opinionisti, una grande conquista per la parità dei sessi. Lo stilista e attivista gay Rudi Gernreich, sostenne che “in futuro gli abiti non saranno più identificati come maschili o femminili”, e questo proprio perché l’educazione istituzionale difende l’impossibilità di operare una qualsiasi distinzione. Nel corso di poco più di un secolo le sperimentazioni tecniche della moda, in risposta alle esigenze di una società in rivolta con sé stessa, hanno rivoluzionato i costumi di una civiltà, quella Occidentale, che si è sempre fondata sul valore della famiglia – pensiamo al contesto rurale – sull’idea di unione tra l’uomo e la donna, sulle virtù che di cui l’uno e l’altro sesso si fecero storicamente portatori. Ma nell’attuale era della post-storia, ovvero il presente paradigma oltre-storico perché totalmente scisso da un senso di continuità col passato, ogni valore è destinato a frantumarsi. Così l’universo dell’abbigliamento e quindi delle tendenze che imperversano nella quotidianità, tanto da definire – nel tempo in cui l’essere equivale all’apparire – l’identità dell’individuo, palesa la perversa voglia di indifferenziazione: prima il pantalone per la donna, poi la gonna per l’uomo. La donna moderna ed emancipata viene raffigurata dai più grandi stilisti in giacca e camicia, e le forme si perdono nell’anoressia delle modelle, cosicché l’impossibile e “politicamente scorretta” distinzione socio-culturale divenga irrealizzabile anche sul piano biologico-naturale. E’ infatti sempre più in voga – perché ricercato dai grandi marchi e dai designer più celebri – il fenomeno dell’androginia, ovvero la coesistenza nell’individuo di tratti ed elementi fisionomici esteriori di entrambi i sessi. Un fenomeno di generazione in generazione più frequente a causa del moderno tenore di vita scandito dalle innovazioni tecnologiche e dall’allontanamento costante dell’individuo dall’ambiente naturale.
Il futuro sembra dunque riservarci dinamiche diametralmente opposte a quelle che l’umanità ha affrontato in passato: il trionfo dell’unisex, la convergenza – sino all’annullamento – dei sessi e del valore ontologico che può significare l’essere Donna e l’essere Uomo (valore che analizza esaustivamente lo psicologo Otto Weininger nel suo saggio Sesso e carattere) a vantaggio invece di un ibrido modello androgino, di una società artificiale, inumana, “civile” perché innaturale, quindi amorfa, grigia, vuota.