di Francesco Perfetti (Barbadillo)
Furono Giulio Andreotti e, prima di lui, Benito Mussolini i
grandi protettori di Giuseppe Tucci, patriarca degli studi
orientalistica in Italia e celebre esploratore che ha legato il
suo nome ad avventurosi viaggi nelle valli dell’Himalaya e nelle
pianure del Gange, ma, soprattutto, in Tibet alla ricerca della «città
proibita» e tra le foreste e le paludi del Nepal. Quando, allora
giovanissimo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (aveva,
all’epoca, 28 anni), Andreotti conobbe Tucci, venuto a sottoporgli il
progetto di una spedizione scientifica in Tibet, ne rimase affascinato.
Era il 1947 e Tucci, il quale da poco aveva potuto riprendere
l’insegnamento universitario e che con i suoi 53 anni era nel pieno
della sua maturità intellettuale, godeva di un enorme prestigio
internazionale. L’incontro fu provvidenziale perché Andreotti,
affascinato dalla personalità dello scienziato, mise da parte ogni
perplessità di natura politica, legata al fatto che Tucci era stato un
importante collaboratore del fascismo oltre che grande amico di Giovanni
Gentile. Si adoperò, così, per finanziare quella impresa che avrebbe
portato lo scienziato ed esploratore, primo italiano, nel cuore di
Lhasa, la «città proibita» e fra i maggiori templi del paese
consentendogli di portare da quei territori testi, manufatti e
manoscritti fornendogli, che avrebbero costituito materiale per alcuni
dei suoi libri più affascinanti. A quella spedizione ne seguirono altre
alla scoperta del Nepal, un paese, come egli stesso scrisse, dei «più
vari e complessi dell’Asia», un «ricco di colore ma anche di dolore» che
«sotto la vivacità dei vestiti e l’allegria chiassosa dei bazar» celava
«come un’angoscia il presagio di un malfido corruccio della natura».
Nelle sue esplorazioni Tucci fu sostenuto sia da una eccezionale
forza di volontà che gli consentì di superare pericoli e affrontare
fatiche sovrumane, sia dalla sua eccezionale conoscenza di una miriade
di lingue e dialetti che gli permise di stabilire un contatto diretto
con le popolazione e di superare ogni diffidenza. La sua
carriera di studioso e di esploratore era cominciata presto e si era
sviluppata attraverso viaggi che lo avevano portato, fra l’altro, in
India, nel Kashmir, in Pakistan e gli avevano fatto conoscere
personalità della politica e della cultura di quei paesi, da Gandhi a
Tagore, i due uomini più rappresentativi dell’India. Il Mahatma, a
vederlo, raccontò poi Tucci, sembrava «insignificante, vestito di una
pezza di cotone tessuta da lui medesimo, le gambe e il torso nudi,
occhialuto e calvo, sgraziato nelle mosse, di scarsa se non addirittura
nulla sensibilità artistica». Tagore, invece, «aristocratico» e
«ieratico» gli apparve «sospettoso del prossimo avvento della tecnica» e
«spirito sommamente svelto e sottile». Eppure, queste due persone, così
diverse fra loro e che gli sembrava «non si comprendessero» lo
colpirono profondamente. Di Gandhi egli apprezzò la determinazione che
lo consacrò come un grande «riformatore morale, sociale e religioso»,
mentre Tagore, con il quale ebbe un rapporto intenso, lo affascinò anche
perché questo poeta che sembrava un grande saggio orientale amava
profondamente l’Italia. Per la verità, Tagore fu anche (e non ne fece
mistero) un ammiratore di Mussolini e del fascismo anche se, poi,
ridimensionò la portata di talune sue dichiarazioni in proposito.
Al fascismo e, più propriamente a Mussolini e ai propositi
espansionistici in campo culturale e commerciale verso l’Oriente, Tucci,
con la sua opera di studioso ma anche con una collaborazione organica,
fu certamente funzionale: le sue esplorazioni e le sue
iniziative costituivano un eccezionale veicolo propagandistico e il capo
del fascismo gliene fu grato.
Il volume di Enrica Garzilli – Tucci l’esploratore del Duce (Memori – Asiatica Association, volume 1 di pag. 740, il 2 di pag. 742, 35 euro cadauno) ,
con una scrittura affascinante e coinvolgente, offre di Tucci (ma anche
del mondo che ruotò attorno a lui) un ritratto a tutto tondo, pieno di
chiaroscuri, capace di penetrare i lati più segreti di una personalità
eccezionale, uno di quei rari studiosi – come avrebbe detto di lui il
suo grande amico Mircea Eliade – la «cui biografia non può ridursi alla
loro bibliografia» perché «il suo sapere fu vasto e profondo».